Il dolore è un’esperienza complessa e soggettiva che comporta un enorme impatto sulla qualità della vita e, in Italia, riguarda il 23% della popolazione. La terapia standard prevede, normalmente, l’uso di farmaci oppioidi, utilizzati per la loro efficacia nel trattamento del dolore.

 Pur trattandosi di farmaci efficaci e sicuri, il loro utilizzo è stato associato a numerosi effetti collaterali e al potenziale sviluppo di dipendenza.

Secondo uno studio internazionale pubblicato sul Journal of Internal Medicine, che ha analizzato il periodo tra il 1991 e il 2015 cercando di capire quali principi attivi venivano prescritti contro il dolore cronico in problematiche come lombalgia, artrosi e artrite reumatoide, in un quarto di secolo la prescrizione di antidolorifici oppioidi  è raddoppiata.

Stando allo studio, dunque, una persona su tre a livello globale ha chiesto al proprio medico di prescrivergli farmaci oppioidi per il dolore non canceroso. Se nei primi studi i farmaci oppioidi venivano prescritti a circa il 20% dei pazienti, nel corso del tempo questa percentuale è raddoppiata arrivando al 42% per chi soffre di lombalgia cronica.

Gli antidolorifici oppioidi, se usati secondo le prescrizioni mediche, risultano efficaci. Tuttavia un abuso può determinare l’insorgenza di gravi effetti nocivi per la salute e portare alla dipendenza.

 Quando la terapia diventa malattia: la dipendenza da farmaci antidolorifici

L’Italia si pone al terzo posto in Europa per la prevalenza del dolore cronico e si stima che circa un terzo della popolazione adulta, almeno una volta nella vita, sia dovuta ricorrere ad un trattamento farmacologico.

I casi legati all’abuso di antidolorifici oppioidi, però, ad oggi hanno una bassa incidenza. C’è infatti una tendenza storica della classe medica a prescrivere poco questa classe di farmaci analgesici per il controllo del dolore cronico grave non oncologico.

Il trattamento del dolore cronico, dunque, dovrebbe prevedere un approccio multidisciplinare che preveda l’associazione di più interventi, farmacologici e non farmacologici.

 L’alternativa agli antidolorifici può essere la medicina complementare

Pur riconoscendo l’efficacia e, in certi momenti, l’assoluta necessità dei farmaci è importante sapere che è possibile evitarne l’abuso attraverso l’adozione di terapie di regolazione, ovvero trattamenti che stimolano l’autoguarigione del paziente attraverso i meccanismi di autoregolazione.

 Le terapie di regolazione possono ridurre fatica e dolore

Per capire come la medicina complementare possa essere d’aiuto, prendiamo in esame un singolo settore del paziente: il suo sistema muscolare. Spesso, oltre ai dolori, chi soffre di fibromialgia presenta anche una stanchezza eccessiva rispetto al lavoro svolto.

Sappiamo che il sistema posturale è governato principalmente dal cervelletto che riceve informazioni anche dagli occhi. Se questi ultimi non lavorano in modo sincrono e coordinato il cervelletto va in “confusione” e manda ai muscoli agonisti ed antagonisti le “stesse“ informazioni.

A fior di metafora, è come se mentre siamo alla guida di un’auto, decidessimo di schiacciare contemporaneamente sia l’acceleratore che il freno: la nostra auto consumerebbe molto e renderebbe poco. Questo consumo eccessivo spesso equivale, nel nostro corpo, a stanchezza e dolori.

Una soluzione può essere l’uso di occhiali individuali che montano  Prismi Percettivi Attivi: questa terapia, non invasiva e reversibile, fa parte della medicina di regolazione e ha l’obiettivo di regolare i sistemi interni del paziente senza operare trasformazioni irreversibili.

Oltre ai prismi, ci si può avvalere anche della  terapia neurale che mira a far recuperare l’equilibrio del sistema nervoso autonomo che spesso è sregolato.

Il nostro sistema nervoso autonomo (SNA) si occupa di far funzionare correttamente diverse funzioni cruciali del nostro organismo come:

  • Respirazione
  • Circolazione
  • Digestione
  • Secrezione ghiandolare
  • Metabolismo
  • Temperatura
  • Apparato riproduttivo

Ripristinare il normale sistema di comunicazioni del sistema nervoso può contribuire ad un minore affaticamento e, spesso, anche una notevole riduzione del dolore

Infine, anche il  biofeedback può essere d’aiuto nella riduzione del dolore cronico: questo strumento insegna a modificare la propria attività fisiologica in tempo reale. Questo si può misurare con strumenti dedicati.

Tali informazioni permettono di modificare il funzionamento fisiologico del proprio corpo, producendo una riduzione della sintomatologia legata ad alcuni specifici disturbi e, di conseguenza, possono portare ad una riduzione anche della quantità di farmaci antidolorifici assunti dal paziente.